Desidero o non desidero, questo è il problema
Avete mai provato a pensare a cosa fareste se foste il protagonista principale di un film?
Se immaginiamo la nostra vita come un lungometraggio (effettivamente a volte ci appare tale, vero?) di cui noi siamo lo sceneggiatore e il regista allo stesso tempo, che storia racconteremmo? Come un registra che pensa e scrive la propria sceneggiatura, così anche la storia del tuo film può essere pensata, scritta e diretta a tuo piacimento.
Buona e cattiva regia fanno la differenza, e solo il regista può deciderla.
Pima c’è un pensiero a cui segue una narrazione che si concretizza successivamente in azione o girato (se vogliamo mantenere la metafora).
Gli Orientali, quando parlano di “forma pensiero” (concetto molto ampio che non affrontiamo in questo scritto) nella sua configurazione più semplicistica e basica, ci indicano proprio questo movimento: l’energia del pensiero che si materializza sul piano fisico.
La nostra difficoltà, come Occidentali, risiede tuttavia nella prima parte del processo; la creazione di un pensiero, l’individuazione di un desiderio che, attenzione, non deve essere confuso con il bisogno. Come fare dunque a mettere in moto questo processo di genesi?
Prima di ogni altra cosa è fondamentale essere consapevoli di ricoprire il ruolo di sceneggiatore/regista del proprio film; se il mondo esterno non va sempre come vorresti, per contro, ciò che succede nella tua testa può invece andare proprio come hai sceneggiato, ed è ora di farsi carico di questo aspetto.
Come si apportano continui interventi di ingegneria nel mondo esterno al fine di migliore o creare nuove dimensioni, così puoi progettare la tua interiorità.
Cambiare il modo di pensare e sentire, a sua volta, conduce a portentosi cambiamenti di vita, e a volte anche piccoli movimenti possono innescare grandi trasformazioni.
Se riesci a ascoltare ciò che vuoi, e non compulsivamente ti fai distrarre da altro, facendoti così sviare dalla tua sceneggiatura, puoi raggiugere naturalmente uno stato di equilibrio, di beatitudine (quando si gira il film della “vita”, credo che il termine beatitudine possa essere indicato).
Farsi carico della guida della propria esistenza e sapere dove andare; questo è quello che ci rende protagonisti e non comparse.
Successivamente è necessario imparare a desiderare, senza confondere questo movimento dal solo bisogno con cui abbiamo a che fare ogni giorno (ripeto questo concetto perché è la loro distinzione che permette di innescare il processo verso il cambiamento). Nel nostro linguaggio quotidiano la parola “desiderio” raramente compare, per contro, verbi quali voglio, devo, faccio, sono continuamente presenti sulle nostre tavole, da cui ci serviamo per nutrirci; il desiderio appare un piatto solo ad appannaggio dei pochi, oppure sembrare dannoso, o semplicemente neanche lo vediamo.
Spesso il desiderio non affiora perché la paura della sua rivelazione ne combatte il suo dispiegamento, ma la differenza tra quello che desideriamo e ciò che temiamo, il più delle volte è minima.
Quante volte vi siete chiesti cosa desiderate veramente? Quante volte lo avete avvertito nel corpo, sotto forma di vertigine, o di un’emozione dirompente, oppure assumere la forma di un grande sorriso che si dipinge sul proprio viso.
Se lo avete provato, a questo desiderio tentate di darne voce e sentite cosa vi suggerisce, se invece non ricordate di averlo incontrato, chiedetevi il motivo.
Quali che siano le risposte che vi arriveranno, mi auguro che da queste potrete trovare l’incipit per scrivere il vostro nuovo copione.